E sono quattro fori nella pelle. Buchi tondi e larghi, cerchiati di pelle arricciata e secca, contornati da grosse e organiche briciole, incrostate e violacee. Ornamenti e cornicette di carne esplosa e sbalzi di sangue raggrumato. Mescolanza di polpa straziata, sentimento corporeo e bolo venoso.
Gli ammanchi di sostanza e pelle sono semplicemente quattro spari, oramai senza eco. Quattro colpi di pistola diretti, inflessibili, alla schiena. Tutto si spera sia avvenuto nel sonno, nei sogni. Si vorrebbe affermare che ad ogni colpo, ad ogni squarcio, sia corrisposto un incubo, un motivo tragico per sanguinare. Ma non esiste un referto sulla sua complessa attività onirica, sulla disattenzione verso la realtà. Così non si sa! Non si conosce e forse la traiettoria del tiro veniva dall'interno del corpo e il pensiero, sempre troppo alacre nel suo disturbare, è il vero killer.
Altra ipotesi: forse sono stati sparati da fuori, da chi si era alzato in piedi sul letto e rideva colpendo!
E il movente?
Il fastidio per le sue sode esternazioni, sempre appese ad un fragile scheletro di cipria?
La facilità con cui sapeva aspettare?
La predilezione per il disorientamento con cui smagnetizzava la bussola dei malcapitati interlocutori?
Il perdersi quando c'era da esserci e il farsi trovare sempre nel momento sbagliato?
Mentre lo si fotografa così tutto nudo, riverso sulla pancia, a culo in su e con la schiena ricamata dalla carne esplosa, non stiamo a domandarci nemmeno se ha sofferto. solo ci si chiede se lo conoscevamo veramente e se, trovandoci noi al posto suo, qualcuno, al di là del rituale riconoscimento da obitorio, saprà mai affermare qualcosa di più di un semplice "si chiamava...".
Con sarcasmo e acida empatia ci chiediamo
se è più ridicolo farsi ammazzare
o non essere mai riusciti a farsi conoscere intensamente?